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Istituto 'Gallo-Positano': Il concerto di Natale

L’orchestra e il coro dell’Istituto Gallo Positano sono tornati - dopo i due anni scorsi -  con il tradizionale Concerto di Natale. Il 20 dicembre, in una Chiesa di San Domenico gremita, la scuola ha rivolto così il suo augurio alla comunità cittadina.

Tutto sembra cominciare, qualche giorno prima, nel grande ingresso della Scuola Gallo, con il presepe di carta, affiancato dall’ invito - forse un po’ ambiguo - “a scartare il Natale”. Poi l’orchestra.  Apre con un canto che ricorda l’origine della festa del Natale, Astro del Ciel, oggi patrimonio immateriale dell’Unesco. Segue un percorso attraverso “la simbolica” del Natale - addobbi, riti, lo stare insieme e, soprattutto, i regali – che porta a Sinfonia dei giocattoli, di Leopold Mozart.

Insieme al suono di giocattoli del ‘700, arriva l’immagine della gioia senza tempo di un bambino davanti al dono. Segno di una gioia che, forse, non siamo più capaci di sentire: la gioia di fronte al dono del cielo alla terra, del creatore alla creatura, del senso dell’umano all’uomo. Al ritmo di un ostinato di quattro note, l’immancabile Carol of the bells, del compositore ucraino Mykola Leontovic, si insinua nella serata una domanda incalzante, con l’idea che tutti si lascino guidare dalla musica in una ricerca del cuore. La domanda è questa: in sostanza, che cos’è il dono del Natale? Per scoprirlo bisogna liberarlo dall’involucro scintillante, come si fa con le confezioni bellissime dei nostri regali, le carte lucide e colorate, i nastri e i fiocchi. Solo così il pensiero e l’intenzione di chi ha donato può essere compresa e il valore del regalo accolto. Ma non è forse vero che a volte quasi dispiace disfare la confezione? Non sarà accaduto che al Natale abbiamo finito per non togliere più l’involucro in cui lo abbiamo confezionato?

A questo punto la musica cambia e con essa l’atmosfera della serata. Siamo sulle sponde del lago di Tiberiade, il momento prima che faccia molto caldo. Una figura si erge alta contro il cielo, sopra la folla. Ora o mai più. Capiranno, devono capire: o riesce ad aprirsi un varco nelle loro menti o è finita. Sta invitando la folla a salire verso la parte più alta dell’umano.  Può farlo, deve farlo. Allarga le braccia e grida: Beati… Silenzio: si ascolta la traduzione musicale del più grande discorso all’ umanità di ogni tempo, il discorso della Montagna, il messaggio delle Beatitudini. L’opera è di Vladimir Martinov, Le Beatitudini, costruita sulla forza della ripetizione, sulla ricerca di suoni puri e povertà di mezzi, di spirito, di conoscenza. Servirà per aprire un varco nelle menti e nei cuori, per andare all’essenza della parola Beato.

E’ l’aggettivo beato, dunque, la chiave musicale e spirituale di tutto il concerto. Quel che si vuol dire, quindi, è che il dono che arriva con il Natale è la felicità, ma nella forma del più audace paradosso: è felice chi soffre, è ricco chi è povero, è forte chi è mite, è vincitore chi soccombe. Che storia è mai questa? Il pensiero che sta dietro l’intera serata è che, forse, aiutati dalla musica, si può osare il coraggio di capire.

Beato traduce una parola greca, ma Gesù - avvertono i biblisti - parlava l’aramaico. Se si segue il sentiero delle parole (per esempio quello tracciato dal Cardinal  G.Ravasi )  dalla radice aramaica della parola usata da Gesù si può scoprire che nel più grande discorso all’umanità di ogni tempo, sulle rive del lago di Tiberiade, quell’uomo spiegava alla folla che nessuna felicità umana è piena e duratura se non nella libertà. La radice aramaica della parola beato è proprio libertà. La felicità umana è, dunque, nella libertà.  Non certo nella libertà di potenza, ma nella libertà dello spirito, ovvero nella mente aperta anche al paradosso, nell’intelligenza del cuore che non teme la verità, nello sguardo puro che non si lascia abbagliare dalla bellezza degli involucri esteriori delle cose, né si distoglie dalla bruttezza, quando questa appare, ma la penetra per dissolverla. Non si è liberi, insomma, per quello che si ha, ma per quello che si riesce ad essere. E’ questa la libertà che renderà il mondo migliore, perché è libertà dal desiderio di potenza e di ricchezza, è libertà che non prende e non toglie...

E’ una libertà che rende più poveri? Certo. Ma più felici, perché non genera ingiustizia.  Eccolo il dono. Pesante, ma sicuro. E, non c’è da temere, perché si può diventare capaci di accoglierlo un poco alla volta, perché il Natale viene ogni anno. Ed ora si può cantare Adeste Fideles e poi marciare in nome della Pace, con Siyahamba, dalla tradizione del Sud Africa.

Il resto della serata è un omaggio trionfale e gioioso all’Uomo delle Beatitudini, a Gesù Cristo, Grande Stella, il bambino del Natale: un estratto di temi dal noto musical Jesus Christ Superstar, di Andrew Lloyd Webber e lo scampanellio festoso di Sleigh ride di Leroy Anderson. Buon Natale

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